La disciplina sensibile é un approccio educativo caratterizzato da affetto e rispetto delle emozioni del bambino. Quando sentiamo parlare di disciplina ci viene subito in mente qualcosa legato alla punizione, ma in realtá questo approccio non ha niente a che vedere con metodi punitivi; al contrario, parliamo di insegnamento basato sulla sintonia affettiva.
L’obiettivo della disciplina, infatti, é quello di insegnare qualcosa ai nostri bambini. Cosa? Principalmente vogliamo ottenere un comportamento corretto e una piena collaborazione. Poi potremmo voler anche dare loro un insegnamento piú a lungo termine, ad esempio rendendoli capaci di gestire le emozioni e gli impulsi.
Partiamo dal presupposto che nei bambini e ancora negli adolescenti il cervello non é pienamente maturo e la parte del cervello (la corteccia pre-frontale) deputata al controllo, alla pianificazione, al problem solving non é ancora sviluppata. Questo significa che quando un bambino é preso dalla rabbia ad esempio, per lui sará molto difficile controllarla, non avendo ancora sviluppata quella parte del cervello che gli serve per farlo. Siamo quindi noi adulti che dobbiamo aiutarlo.
Attraverso la disciplina noi favoriamo lo sviluppo di connessioni cerebrali in tutte le parti del cervello. Siegel parlava di “disciplina senza lacrime”, ovvero entrare in sintonia con il bambino e reincanalare il suo comportamento senza passare dalle punizioni.
Vediamo brevemente come si puó imparare a relazionarci in questo modo con i nostri bambini. Al centro di tutto deve esserci sempre la RELAZIONE: io adulto mi metto in relazione con te bambino dedicandoti attenzione, anche quando ti comporti male. Aspetta…ti hanno insegnato che quando un bambino si comporta male bisogna ignorarlo? Tranquillo, anche io seguivo in parte questo insegnamento prima. E, lo ammetto, mi é capitato in passato di suggerirlo come strategia psico-pedagogica a dei genitori esasperati che avevano chiesto delle consulenze. Iniziamo col dire che non facciamo un danno enorme, ma possiamo migliorare. E direi che il nostro obiettivo é proprio quello di chiederci “posso fare meglio?”.
Allora ripartiamo dal dargli attenzione. Vuol dire far capire al bambino che io sono dalla sua parte anche se si é comportato male. Non c’é cosa peggiore per un cucciolo che essere ignorato. E’ proprio in quel momento che ha piú bisogno di noi. In alcune terapie comportamentali si usa molto la tecnica del Time-Out; la conoscete? Si basa sull’ isolare per un certo periodo di tempo (minore per i piú piccoli) il bambino, per “insegnarli”a pensare a quello che ha fatto. Ma funziona davvero? Le recenti ricerche ci dicono il contrario. Anzi, é posibile che in quei momenti i bambini non facciano altro che pensare a quanto siamo stati cattivi con loro.
Anche e soprattutto le punizioni non servono a nulla. Soprattutto quelle fisiche. Oggi sappiamo bene quanto queste siano controproducenti e il motivo sta ancora un volta nel nostro cervello. Quando puniamo un bambino che emozione pensiamo possa provare? Paura, certo. E come tutti gli animali quando si prova paura si attiva un’area del cervello che riconosce quello stimolo come una minaccia. Se sculaccio il mio bambino le aree del cervello deputate al riconoscimento della minaccia si accendono e si crea un disorientamento dovuto al fatto che la persona da cui vorrei andare a farmi consolare é la stessa che mi ha provocato quel dolore. Capite il cortocircuito? A lungo andare si sviluppa nel bambino quello che la Ainsworth ha classificato come Attaccamento Insicuro.
Le stesse aree del cervello si attivano quando isoliamo il bambino. E ritorniamo all’inefficacia del Time-Out.
Ma allora, cosa possiamo fare?
Siegel nel suo libro “La Sfida della disciplina” ci suggerisce due modi:
- entrare in sintonia
- reincanalare
Vediamo cosa significa entrare in sintonia. Innanzi tutto quando osserviamo un comportamento che non gradiamo iniziamo a chiederci “perché fa cosí?”. Non concentriamoci solo sul comportamento in sé, ma proviamo a capire cosa c’é dietro. Un esempio: tua figlia non vuole proprio andare a dormire questa sera e inizia a piagnucolare o a intavolare una vera e propria gara a braccio di ferro con te. Certo, possiamo arrabbiarci molto (magari siamo nervosi dalla lunga giornata di lavoro) o prenderla di peso e metterla nel suo lettino (ma siamo sicuri che ci rimane?). Oppure potremmo chiederci perché reagisce cosí; forse ha paura di qualcosa? E’ nervosa per qualcosa accaduto a scuola? E’ troppo stanca e si é innervosita piú del solito? Capiamo cosa vuole comunicarci con quel comportamento.
Successivamente cerchiamo di pensare a come poter parlare con lei.
Innanzi tutto é importante come si diceva all’inizio esserci. Darle attenzione, magari abbassandoci sotto l’altezza dei suoi occhi, magari provando a stabilire un contatto fisico con lei (aumenta l’ossitocina); insomma proviamo a calmarla. Questo passaggio é importante prima di provare a fare qualsiasi altra cosa perché se la bambina é ancora molto agitata poco o nulla servirá spiegare o peggio arrabbiarci a nostra volta. Potremmo dire: “So che questa sera sei molto nervosa, forse potrei stare un pó piú accanto a te fino a che non ti addormenti”. Legittimiamo le sue emozioni, anche se non ci piacciono. Attenzione: legittimare non vuol dire accettare qualsiasi cosa. Se il tuo bambino ti dice che ODIA l’amichetto o il fratellino, non possiamo dirgli “certo, ti capisco”. Non possiamo permettere che un’emozione cosí distruttiva (e forse nemmeno sentita dal bambino) si radichi dentro di lui. Potremmo allora riformulargliela, magari dandole il nome di rabbia.
Poniamoci in ascolto e poi riflettiamo come uno specchio ció che ci ha appena comunicato.
Dobbiamo far sentire il bambino al sicuro, dobbiamo evitare che si accenda quella famosa parte del cervello che prova paura o, ancor peggio, terrore (qui si accende il cosiddetto cervello rettiliano che non sa fare altro che fuggire o attaccare).
Quindi, per prima cosa, cerchiamo di aspettare che il nostro bambno sia pronto e calmo. Successivamente possiamo reincanalare il suo comportamento. Vuol dire che cercheremo di aiutarlo a mettere in atto un comportamento corretto, ad apprendere il modo giusto di comportarsi. Nei bambini piú piccoli dovremmo essere noi le guide, dovremmo prenderli per mano, spesso loro non sanno dirci il perché hanno compiuto una certa azione. Possiamo provare noi a dare un nome alla loro emozione. Nei piú grandi proviamo a chiedere spiegazioni e poi seguiamo i passi per reincanalare. Vi riporto l’acronimo che ci presenta Siegel nel suo libro:
R idurre al minimo le parole (parlare troppo o fare le famose ramanzine serve a poco!)
E sporre i fatti, evitando le prediche (non assaliamo subito il bambino, proviamo a descrivere quello che vediamo. Ad esempio: “vedo che hai lasciato i giochi per terra. Mi puoi spiegare?”
IN segnare gli strumenti di mindsight (con il termine Mindsight Siegel intende la capacitá di avere una chiara visione della propria mente, osservarla per capire cosa sta accadendo)
C oinvolgere il bambino nella disciplina (rimarremmo stupiti dalla capacitá di bambini anche molto piccoli di trovare delle soluzioni alternative!)
A ccettare le emozioni (vedi prima)
N on dire un No categorico ma un SI condizionato (possiamo dare al bambino un limite per questo momento, ma non escludere totalmente la possibilitá)
A ccentuare il positivo (cerchiamo di vedere anche le cose belle che fanno i nostri bambini!)
LA vorare di fantasia nell’affrontre la situazione (qui giochiamo con la creativitá! Nei bambini piccoli possiamo aiutarci con l’invenzione di storie per favorire un comportamento).
Ora vi chiederete? Non sará mica che diventeremo troppo permissivi seguendo questo approccio?
Certo che no! I limiti devono esserci. I comportamenti pericolosi, sbagliati, dannosi non possono essere accettati. Inoltre i limiti servono al bambino per orientarsi meglio, avere dei paletti e sentirsi libero di esplorare sapendo cosa puó e non puó fare. Possiamo peró cambiare il modo con cui lo insegniamo ai bambini. Con la disciplina sensibile ricordiamoci che andiamo a sviliuppare la parte superiore del cervello, aiutiamo il bambino a prendere delle decisioni che non é in grado di prendere da solo.
Infine, una rassicurazione a noi adulti. Non siamo troppo critici e colpevolizzanti con noi stessi. Tutti possiamo commettere degli errori, soprattutto, non sempre le strategie, per quanto migliori siano, ci condurranno al risultato. Alle volte, dovremmo accettare di non riuscire proprio ad affrontare la crisi del nostro bambino.
Va bene, non siamo perfetti.