Eccoci qui a discutere l’annosa questione sulla differenza e l’utilità del mental coach rispetto a quella dello psicologo dello sport.
Facciamo subito una precisazione: lo psicologo dello sport che applica strategie di mental training nel programma di allenamento di un atleta è un mental coach. Su questo non ci sono dubbi, mental coach significa allenatore mentale e chi meglio di un povero professionsta che si è scoppiato 5 anni di Università, più uno di tirocinio, più l’esame di Stato conosce meglio i meccanismi di funzionamento della mente e le modalità per farla rendere al meglio? Lo psicologo dello sport, inoltre, ha svolto dei percorsi specifici per approfondire e specializzarsi nel ramo della psicologia sportiva che si differenzia completamente da quella clinica.
L’atleta che richiede l’intervento di uno psicologo dello sport è fondamentalmente sano, non ha problematiche psicologiche rilevanti, nè vuole cambiare aspetti di sé. Semplicemente richiede un “allenatore mentale” per apprendere strategie utili a migliorare la performance, recuperare da un infortunio o gestire l’ansia al meglio.
Allora che differenza c’è tra un mental coach non psicologo e uno abilitato alla professione? Cerchiamo di fare chiarezza. Prima di diventare psicologa, anche io lavoravo nel mondo dello sport come Mental Trainer. Ero laureata in Scienze dell’educazione, con un master in psicologia dello sport. Avevo appreso le principali tecniche di allenamento mentale e mi occupavo, inoltre, di aspetti di educazione allo sport. Mi sono resa conto, col tempo, che tutto questo non bastava. L’atleta che abbiamo davanti a noi è, in primis, una persona con sue caratteristiche, con dinamiche motivazionali e cognitive che io non riuscivo a cogliere in pieno. Ho sempre lavorato con coscienza e consapevolezza di quello che potevo o non potevo fare e proprio per questo ho deciso di iscrivermi a psicologia.
Forse è vero che un mental coach non laureato o laureato in materie molto distanti dalla psicologia può effettivamente comprendere e apprendere delle tecniche per lavorare sulla motivazione o sugli obiettivi. Ma, di fatto, il rapporto con un atleta non è mai solo fatto di tecniche standardizate e uguali per tutti. I cosiddetti “motivatori” non riescono a cogliere fino in fondo il significato di motivazione: come si può motivare un atleta esclusivamente con strategie applicate meccanicamente, senza comprendere da dove arriva la sua motivazione a gareggiare e ad allenarsi? Come posso capire senza adeguati strumenti teorici e pratici se quell’atleta è ansioso e come gestirne l’ansia? Le tecniche di rilassamento come il training autogeno, spesso, non vanno bene per tutti. Un atleta può rendere al meglio sperimentando emozioni più vicine alla rabbia, all’attivazione fisiologica; altri richiedono di essere più calmi e tranquilli.
Se poi ci addentriamo all’interno del mondo dello sport dell’età evolutiva le cose si complicano: quanti atleti di 12-13 anni sono già a livelli agonistici elevati? E quanti di loro oltre allo sport hanno una vita extra-sportiva? (la scuola, gli amici, la famiglia). Praticamente, tutti. Ecco allora che in questo caso è necessaria una sensibilità e una competenza maggiori, perchè non ho davanti l’atleta professionista, ma ho un ragazzino che si allena ogni giorno, ma che necessita anche di conciliare tanti aspetti della sua vita.
Ultimo aspetto che ci tengo a sottolineare: spesso i mental coach puntano sul fatto che loro, a differenza dello psicologo, non curano e lavorano con persone sane. Questa affermazione è frutto dell’ignoranza di chi non conosce il lavoro dello psicologo dello sport. Come già detto prima, la psicologia applicata allo sport si occupa di persone senza problematiche di tipo clinico. L’obiettivo non è curare, ma è migliorare la performance, facendo leva sui punti di forza.
Scegliete chi ha maggiori competenze, chi si è formato a lungo e che propone modelli teorico-applicativi studiati e validati. Toglietevi la paura dello psicologo come “chi cura i matti” e andate oltre l’immagine ormai sorpassata del lettino su cui raccontare i propri sogni. Per uno psicologo dello sport i sogni di un atleta si ascoltano sul campo e, spesso, sono obiettivi molto concreti su cui lavorare per realizzarli.
Se non volete dire che avete uno psicologo, chiamateci un po’ “mental coach”.